martedì 22 marzo 2016

RESPIRA, MAMMA, RESPIRA

Il 'cielo' del Centro Bimbi Davvero Veramente...ciò che vigila sulle nostre meditazioni :-)

Oggi vi voglio parlare di un percorso che da qualche mese sto seguendo grazie alla mia amicizia con Piera, mamma blogger su MammaYoga

Percorso è proprio la parola giusta: questi incontri permettono di fare un buon lavoro su se stessi, imparare pian piano a <sentirsi>, a fidarsi di se stessi...a <RESPIRARSI>.

Ecco la parola chiave: RESPIRO.

Gli incontri sono infatti basati sul metodo mindfulness e sul respiro consapevole.

Sono partita completamente digiuna di queste tematiche, non ho mai praticato yoga o discipline simili, ma in qualche modo, da quando sono diventata mamma, mi sono avvicinata sempre di più a tutto ciò che porta ad uno <studio> su se stessi, ad una introspezione. La maternità mi ha portato all'essenzialità anche nella relazione con me stessa.
Così ho accolto con gioia il percorso proposto e rivolto nello specifico a chi è genitore.

Workshop by MammaYoga

Ma cos'è il metodo mindfulness? 
Mindfulness è saper prestare attenzione al <qui e ora>, assaporare con attenzione sollecita e consapevolezza ogni momento, sapersi riportare all'attimo, all'azione presente quando la mente viene investita da mille pensieri, che ci provocano ansia e tensione interiore. Come ci dice sempre Piera, dobbiamo accettare i pensieri che ci giungono, ma dobbiamo anche imparare a lasciarli andare, per ritornare al presente. Lasciarli andare come nuvole che affollano il cielo azzurro della nostra mente. 
Quante volte, nella vita quotidiana di mamma, moglie, lavoratrice, la mia mente si satura di pensieri? Faccio una cosa e già penso alla spesa da fare, al bimbo da recuperare all'asilo, alla bolletta da pagare, ai panni da stendere e alla cena per il giorno dopo da pianificare. Spesso corro avanti e indietro come un turbine e arrivo a sera senza essermi accorta di ciò che è accaduto durante la giornata. Un esempio semplice che ci ha fatto Piera mi ha colpito: quante volte ci facciamo la doccia, approfittando di un attimo di calma in casa, ma quando usciamo dalla vasca non ci ricordiamo dei gesti fatti per lavarci, della sensazione dell'acqua sulla pelle? E la stessa cosa, pensandoci bene, mi capita anche per altre cose. Per esempio mentre cucino: quante volte arrivo a servire il piatto in tavola senza aver gustato gli odori di ciò che ho preparato? Ma ancora: quante volte faccio la spesa riversando nel carrello gli articoli ben disposti sugli scaffali senza prestare attenzione a ciò che c'è intorno? Quante volte guido la macchina ma non <osservo> la strada? 
Non avevo mai riflettuto su quante attività svolgo automaticamente senza assaporarle, col risultato non solo di perdere occasioni, ma di avere la sensazione di non avere mai tempo per me. E da lì parte facilmente il lamento col marito e del <faccio tutto io>...chi di noi mamme non fa un po' così col proprio compagno? Se il mio fosse qui a leggere, avrebbe le sue da dire sicuramente :-)
Una nuova visione è invece quella di considerare ogni momento, ogni cosa che facciamo, ogni azione che condividiamo con i nostri cari come <tempo per noi>, da vivere consapevolmente. Mi è piaciuta molto una storia raccontata da Thic Nhat Hanh e narrataci da Piera in uno dei nostri incontri.

<Poi Allen ha detto: "Ho scoperto un modo per avere molto più tempo. In passato, consideravo il tempo come fosse suddiviso in tante parti distinte. Una parte la riservavo a Joey, un'altra era per Sue, un'altra la dedicavo ad Ana e un'altra ancora alle faccende domestiche. Quello che rimaneva era il mio tempo personale. Potevo leggere, scrivere, fare ricerca, andare a passeggio. Ora invece cerco di non dividerlo più. Considero il tempo che passo con Joey e Sue come tempo mio. Quando aiuto Joey a fare i compiti cerco di fare in modo che il suo sia anche il mio tempo. Studio la lezione insieme a lui, mi godo la sua presenza e cerco di coinvolgermi in quello che facciamo. Il tempo dedicato a lui diventa il mio tempo. Con Sue è lo stesso. E il bello è che ora posso diosporre di un tempo illimitato! Mentre parlava, Allen sorrideva.> (Il miracolo della presenza mentale, Thich Naht Hanh)

Potete leggere QUI l'intera storia. Io vi voglio solo sottolineare l'ultima frase: <Mentre parlava, Allen sorrideva>. Se il risultato è saper sorridere raccontando del nostro quotidiano, quello che a volte ci pare routinario e noioso, quello che spesso giudichiamo come banale e fantastichiamo su altre vite parallele...beh, io voglio almeno provarci. E arrivare a godermi un pomeriggio in spiaggia con mio figlio essendo lì con lui con tutta me stessa, senza bisogno di altro, senza farmi sopraffare dagli altri pensieri.



E allora come fare per ritornare al momento reale, a non farci sopraffare dai pensieri?
Con l'uso della cosa più semplice e ancestrale di tutte: il RESPIRO, <l'analgesico naturale>, quel semplice ed involontario gesto che ci accompagna dal primo vagito fino all'ultimo secondo di vita, quel gesto che ha la duplice caratteristica di essere involontario e, contemporaneamente, volontario.
Ma anche se il respiro è un qualcosa che ci appartiene, non è facile imparare ad usarlo con CONSAPEVOLEZZA. Imparare a sentirlo muoversi in diverse parti del corpo a seconda della posizione che assumiamo. Imparare a concentrarci su di esso e gestirlo al meglio.
Durante i primi incontri, ogni qual volta provavo a concentrarmi per usare la respirazione diaframmatica piuttosto di quella toracica, mi mancava l'aria. Ora, dopo qualche mese di esercizio, riesco a respirare 'dal basso verso l'alto', a sentire che l'aria che dalla pancia sale fino in gola.

Sapersi concentrare sul respiro è utile nel quotidiano e non solo durante le pratiche di meditazione. Anzi, come mamma mi sento di dire che è più difficile usarlo durante i momenti meditativi che poi nella realtà. Se mi fermo per meditare, il più delle volte succede che dal rilassamento passo al sonno. Non c'è niente da fare...se ho ore di sonno perse, appena mi stendo e mi <sforzo> di non pensare a nulla, di liberare la mente, mi addormento. Quindi se provate e vi succede così, sappiate che è normale :-) A godersi i benefici della meditazione ci vuole tempo ed esercizio, soprattutto nella frenesia della nostra vita <multitasking>. Penso sia quindi utile iniziare a conoscersi attraverso il respiro nella vita quotidiana, negli atti fatti tutti i giorni. Anche quella può essere una forma di meditazione. Stendere e respirare. Lavare i piatti e respirare. Cucinare e respirare. Lavarsi i denti e respirare. Essere lì, in quel momento, e prestare attenzione ai semplici gesti che facciamo. La mente si svuota e siamo come ricaricati.

<Il modo in cui una persona lava i piatti rivela la qualità della sua poesia> (L'arte di lavorare in consapevolezza, Thich Nhat Hanh)

Anche fare attività pratiche manuali può essere un momento di consapevolezza. Io ultimamente mi sono appassionata alle creazioni con feltro e pannolenci. Quando sono lì che taglio, incollo, invento come dar vita a una piccola creazione, ecco che sono lì e solo lì. È la mia piccola meditazione se non giornaliera, almeno settimanale.

Questo sapersi <respirare> è utile poi nei momenti di stress. Se sono agitata prima di addormentarmi, con tutti quei pensieri che la notte si fanno enormi e sembrano insuperabili, respirare prestando attenzione ad ogni singola fibra del proprio corpo è un metodo rilassante. Ancora di più la mattina, quando suona la sveglia, magari dopo una notte quasi insonne per via delle bizze dei cuccioli: tre respiri profondi per riprendere consapevolezza di noi stessi e iniziare la giornata è più facile! (Leggete QUI che bel post ha scritto MammaYoga sul risveglio consapevole!)

Per non parlare dei momenti di scontro con i nostri figli o i nostri mariti. Al posto di una sfuriata, che se anche ci ispiriamo alla Montessori a volte sento proprio salire dentro di me, per riprendere il pupo dopo che ne ha combinata una delle sue, facciamo un bel respiro, percependo il percorso dell'aria nel nostro corpo per ricentrarci. Magari chiudendo gli occhi. A me è capitato che vedendomi così, ad occhi chiusi e concentrata a ritrovare l'equilibrio, il mio bimbo smettesse di urlare o piangere, rientrando in contatto con me

Il respiro consapevole sa essere contagioso e diventa una forma educativaRespiro, accetto le emozioni che sento, le lascio andare come fossero nuvole nel cielo, e tutto passa. 

Un'eredità che mi piacerebbe trasmettere a mio figlio.

A tal proposito vi saluto consigliandovi questo dolcissimo post di Claudia Porta. Magari leggendolo vi emozionerete come è successo a me.

Lusi

PS - Grazie alle mie 'compagne di respiro' Carina, Gianna, Laura, Piera, Roberta e Tiziana...senza di loro questa esperienza non sarebbe così ricca di emozioni <3

martedì 8 marzo 2016

LA PRIMA VOLTA DAL PARRUCCHIERE


Una delle caratteristiche principali che fanno di BabyD il mio mini-me sono sicuramente i capelli ricci. C'è stato un periodo, quando a lui sono iniziati a spuntare i boccoli e io ho tagliato i capelli corti, che, guardandoci da dietro, avevamo la stessa pettinatura, eravamo identici.

Questo con mia grande gioia, ovviamente. Fin da piccola, se pensavo a mio figlio, lo vedevo coi ricci biondi....ci sono andata proprio vicinissima! 

Ma a dispetto della bellezza che i riccioli indubbiamente hanno, conosco benissimo anche i disagi legati ai folti ricci, primo fra tutti il doverli almeno ogni tanto pettinare...e gli urli per sbrogliare i nodi, che talvolta nemmeno il balsamo più efficace riesce a sciogliere. Dal primo ciuffo, i nostri bagnetti sono sempre finiti con pianti a dirotto e "Mamma no, tetto no!" e manine ribelli che volevano prendere la spazzola.

L'unica soluzione è tenerli corti.

Cosi questa estate, complice il gran caldo, abbiamo tagliato le prime ciocche, ma tutto in misura casalinga, o io o la nonna.

Poi con l'autunno abbiamo lasciato al chioma libera di crescere...e sempre più ricci sono spuntati sulla testolina di BabyD...e il mio piccolo riccioli d'oro stava benissimo tutto boccoloso, sembrava un angioletto e così non abbiamo più pensato al taglio.

Ma la situazione era diventata un pochino difficile da gestire...così ho preso coraggio e ho deciso, un mesetto fa, di portarlo dal parrucchiere.

Così un pomeriggio dopo l'asilo, lo porto dalla parrucchiera vicino a casa, dove sono solita andare.

Entriamo e già il piccoletto inizia ad attaccarsi alle mie gambe, a nascondersi sotto la mia giacca, a dire solo <NO> a qualsiasi domanda. Solo il cioccolatino proposto come tregua dalla parrucchiera è riuscito a farlo venire fuori dalla timidezza.

Siamo riusciti così a sederci sul divanetto in attesa del nostro turno. E lì ho iniziato a parlargli del fatto che quella signora gli avrebbe fatto una nuova pettinatura, gli avrebbe tagliato i capelli così sarebbe diventato ancora più bello. Il mio dolce discorso è finito con lacrimucce e frasi sussurrate <Pei no, mamma!> [<I capelli no, mamma!>].

Ma il meglio deve ancora venire.

Arriva il nostro turno. Ed è crisi. Lacrime a secchiate. Mani saldamente strette alle mie gambe. E imbarazzo (mio).

Di farlo sedere sulla sedia da solo, nemmeno a parlarne. Ok, allora me lo siedo in braccio. 

La tenace parrucchiera inizia abilmente a bagnare la folta chioma e a tagliuzzare. C'è da dire che il pianto continua, ma lui è talmente teso che sta immobile. Almeno questo.

La bimba di un'altra cliente, presa da empatia per il piccino disperato, si fa dare il cellulare dalla madre e comincia a fargli vedere video e sentire canzoni per intrattenerlo. Niente da fare.

Poi io sento improvvisamente caldo sulle gambe. Lo guardo basita. Mi fissa col faccina bagnato di lacrime. 

La parrucchiera nota il nostro scambio di sguardi.

<Ha fatto la pipì...> dico sottovoce.

<Hai il pannolino...vero?> mi dice lei, con sguardo dubbioso.

<Mmm...no...lo ha levato mesi fa> ribatto io.

Tanto oramai se ne sono accorti tutti, visto il laghetto che si è formato sotto la nostra sedia.

Risate di tutti, tra il divertimento e lo stupore. Tranne che del piccoletto, che ora piange oltre che per la paura del taglio dei capelli, anche per essersi bagnato.

Per stemperare gli animi, la buona parrucchiera mi racconta aneddoti di bimbi che erano stati lì da lei e avevano avuto avventure altrettanto articolate e, possiamo dire, divertenti. Di sicuro la nostra giornata finirà nei sui annali :)

Al termine del taglio, ci propone il phon. Facciamo che li asciughiamo con un bel l'asciugamano...che col phon già tenta la fuga a casa...e qui le cose sono già state abbastanza traumatiche.

Cosi ci alziamo rapidi e con della carta cerco di tamponare il danno e mi metto ad asciugare pavimento e sedia per contenere i danni, ma la gentile parrucchiera mi esorta a lasciare stare...che ci avrebbe asciugato lei, con sapone e alcol. Non a torto, direi.

Recuperiamo così le giacche e paghiamo la cifra richiesta. Se non le avessimo allagato il locale avrei pensato che fossero un po' tanti per il taglio veloce dei riccioli di un bimbo...ma, ecco, oggi direi che se li è guadagnati tutti!

Finalmente usciamo all'aria aperta, il cucciolo tutto coperto nel giaccone, io con la mia bella chiazza bagnata sui jeans, che il piumino corto non riesce a nascondere. 

A casa ci facciamo un bel bagno caldo per allontanare dalla mente questa traumatica esperienza. Una volta asciutti e puliti, lo guardo...e penso che il risultato è valso questa avventura...perché è proprio bello, il mio bimbetto col taglio da grande :)

Ora speriamo solo di aver azzeccato la luna giusta in modo che la zazzera non diventi subito folta!

sabato 5 marzo 2016

LA FATINA DELLA NANNA



<<La fatina della nanna è una fatina piccola piccola, vestita di azzurro, con un cappello a punta blu e un mantello lungo lungo blu con le stelline bianche, le scarpe rosse e un paio di piccole ali trasparenti, che fremono veloci veloci, come un battito di ciglia. 

Abita su una nuvola rosa, su, nel cielo, e ogni sera e ogni mattina scende sulla terra e visita ogni casa in cui un bimbo si appresta a fare la nanna o si è appena svegliato.

E lo fa perché ha un compito ben preciso. Un compito importantissimo. Lei custodisce il ciuccio di ogni bimbo dal momento in cui lui si sveglia fino a quando va di nuovo a dormire.

Li conserva ognuno in una scatoletta col tappo colorato, ben chiusa e sigillata, col nome del bimbo scritto a chiare lettere, perché ogni ciuccio appartiene a un bimbo e a quello soltanto. 

La fatina ha grande cura di ogni ciuccio che le viene affidato perchè sa quanto è importante per il bimbo a cui appartiene.

Dispone ordinatamente tutte le scatoline sulle mensole che abbelliscono il muro della sua casetta rotonda rosa e azzurra, ognuna sempre nello stesso posto, ogni mattina, per non rischiare di confondersi. Poi si siede al centro, su uno sgabellino rosa a cuoricini rossi e inizia a cantare ai ciucci dolci melodie, a raccontare loro dei bimbi che li stanno aspettando. Di Cesare che ormai va all'asilo "dei grandi", di Anita che è coccolata dalla nonna, di Greta che sta facendo un disegno bellissimo, di Filippo che ha imparato a camminare...e di Danilo che mangia come un lupetto e gioca con la palla insieme ai suoi amichetti del nido.

I ciucci sono così felici di sentire le storie dei loro 'padroncini' che non si sentono per nulla abbandonati...anzi sono felici di averli accompagnati a diventare così grandi da sapersi separare da loro durante il giorno!

E i bimbi sono tranquilli nell'affidare l'amato ciuccio alla fatina della nanna, sapendo che lei ne ha gran cura.

E non c'è nulla di più divertente che chiamare la fatina prima di coricarsi: "Fatina...fatina!" dicono saltellando per la casa, con il nasino all'insù, aspettando che la fatina, pronta come sempre, lanci loro il ciuccio, per coricarsi poi beati.

E la mattina, prima di correre chi all'asilo, chi dai nonni, chi ad accompagnare mamma o papà negli impegni quotidiani, chi a guardare il cartone preferito a leggere il libro del cuore o a disegnare, ecco di nuovo la vocina squillante dopo il riposo, che chiama la fatina per la consegna: "Fatina...fatina!"...e le manine lanciano verso il cielo l'amato ciuccio. 
La fatina, veloce come un fulmine, vola rapida e lo acchiappa...e si allontana scuotendo le sue piccole ali e lasciando cadere col battito la sua polvere di stelle, che crea una pioggerella luminosa sulle teste ricciute dei piccoli cuccioli.
Loro ridono felici sbattendo gli occhietti mezzi addormentati ma già vispi...e corrono via, salutando con la manina.

Fino a sera il loro ciuccio è al sicuro e possono giocare tranquilli e sereni.>>

Ogni mattina e ogni sera anche BabyD chiama la fatina per affidarle o chiederle il suo ciuccio, anzi a volte i suoi due ciucci, perché qui uno va succhiato e l'altro tenuto stretto in mano, per addormentarsi sereni.




<Atia!Atia! Ci sei? Ciucciooooo!> dice, saltellando. E io mi diverto a nascondermi dietro la porta o il divano e a lanciargli di soppiatto il ciuccio. E per lo stupore del ciuccio che arriva dal cielo, lui ride come un matto, e io con lui.

La storia è nata così, una storia come tante inventata prima della nanna, osservando quella bella calamita che vedete nella foto all'inizio del post, gadget di una campagna alimentare promossa al lavoro. E senza che me ne accorgessi ha creato un rituale che sta facendo sì che, senza sforzi e senza traumi, il cucciolo inizi a staccarsi dall'uso del ciuccio. Con gradualità e tranquillità, un po' come è successo col pannolino.

Qualche giorno capita che la fatina sia chiamata più spesso, anche per il riposino del pomeriggio o per trovare consolazione se c'è la febbre o il mal di pancino. 
Qualche volta, a contrario, gli occhietti si chiudono da soli e per quella notte la fatina continua a conservare i ciuccio nella scatoletta colorata.

L'amore per il ciuccio qui è nato tardi. Per i primi mesi non l'ho nemmeno proposto al piccolino per favorire l'avvio dell'allattamento. Poi per diversi mesi ha preferito succhiarsi il pollice. Poi un giorno il papà gli ha messo il ciuccio in bocca...ed è nato un amore! 

Io non ero molto convinta di questa cosa. Mi pareva semplicemente un surrogato, una consolazione fittizia.
Però devo dire che col tempo ne ho apprezzato l'utilizzo. Quando sei in macchina e strilla come un'aquila, il ciuccio diventa l'unica ancora di salvezza e calma per un viaggio sopportabile per entrambi. Quando è notte fonda e lui si sveglia piangendo e sai che la tua sveglia suonerà tra poche e mettertelo accanto nel lettone non basta (soprattutto da quando non cerca più il seno), il ciuccio diventa l'unico strumento per tranquilizzarlo e dormire!

Però ecco, cosciente delle modifiche nello sviluppo del palato che il ciuccio può causare, soprattutto se usato assiduamente dopo i due anni, e data la persistenza con cui ultimamente BabyD lo sta cercando e usando, l'idea di limitare l'uso per la nanna credo sarebbe un'ottima cosa.

Non si sta rivelando semplice, a dire il vero, ma la storia della fatina è un bel gioco che facciamo insieme e ci fa tanto ridere. E in più lo tranquillizza e non gli sta facendo vivere il distacco come una forzatura. E se sono ancora molte le volte in cui mi chiama a gran voce per aiutarlo a trovare la "Atia...Atia...ciuccio!", come per ogni cosa cercheremo di fare tutto a piccoli passi. 

Se qualche mamma vuole usare l'aiuto della fatina, la nostra storiella è qui anche per voi :-)